Metafisica e ontologia
Emanuele Severino, il pensare tra regalità e rispetto
di Massimo Donà
A un anno dalla scomparsa di Emanuele Severino (1929-2020), che insegnò Ontologia fondamentale presso la Facoltà di filosofia UNISR, pubblichiamo un ricordo di Massimo Donà.
Non era un semplice professore di filosofia. O almeno, non lo è stato per me. Ho avuto la fortuna di incrociarlo, nel mio percorso di vita a Venezia, nella seconda metà degli anni Settanta. È stato e continuerà a essere la prova del fatto che, là dove il discorso si impone, e non ti lascia vie di scampo – là dove a disegnarsi è cioè la verità, ossia qualcosa che non si lascia confutare, ma nello stesso tempo ti persuade senza farti sentire ‘incatenato’, ossia conducendoti per mano verso la luce di una Gloria “liberatrice” (che, lungi dal renderti schiavo, mostra la tua originaria ‘regalità’) –, ecco, là dove accade tutto questo, non è un semplice essere umano a parlare o a scrivere; ma il Destino in quanto tale a lasciarsi disegnare. Di tutto questa è stato la prova Emanuele Severino; un filosofo che ha cominciato la sua carriera nelle aule dell’Università Cattolica, per proseguirla poi a Venezia e concluderla in quelle dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Dove ha lasciato il segno, più o meno dai settanta ai novanta anni, su ancora tante generazioni di giovani studenti. Quando lo sentivi parlare non avevi l’impressione di aver a che fare con un uomo coltissimo e intelligentissimo; ma molto di più. A disegnarsi, davanti ai tuoi occhi e alle tue orecchie, era infatti il ‘logos’ in quanto tale; qualcosa di non riducibile all’opinione (per quanto ben fondata) di un filosofo. Severino ha deciso della mia vita; me ne sono reso conto quando, dopo averlo ascoltato per la prima volta nell’aula A di San Sebastiano a Venezia, ho capito che quello sarebbe stato il mio destino. Che non mi ci sarei potuto sottrarre. Credo di poter immaginare, dunque – e solo perché ho avuto la fortuna di essere allievo di Emanuele Severino –, cosa potesse voler dire aver avuto la fortuna di seguire le lezioni di Kant, di Hegel o di Heidegger. Severino è uno dei pochissimi che secondo me rimarrà nella memoria dei secoli a venire, come un vero e proprio “gigante” del pensiero. Non ci ha mai raccontato la ‘storia della filosofia’; ma, piuttosto, ci ha insegnato a pensare. Insegnava a porsi le domande che contano; ed a farsi inquietare dalla potenza di una verità nei cui confronti non possiamo che farci testimoni, cercando di seguirne diligentemente il ‘dettato’. Ma, se la sua parola si annunciava e voleva essere fedele alla ‘verità’, è bene ricordare che, per lui, farsi testimoni della verità significava porsi in ascolto di qualcosa che ben poco avrebbe avuto a che fare con ciò che per la tradizione occidentale aveva sempre significato una tale parola. Per lui, infatti, testimoniare la verità, ossia il Destino, significava riconoscere la regalità di ogni manifestazione dell’essente, e non – come si è sempre creduto, lungo la storia dell’Occidente – solo di una parte dell’essente (chiamata di volta in volta, ‘idea’, ‘essenza’, Dio, legge scientifica etc. etc.). Perciò ci ha insegnato a considerare divina ogni esistenza. E ad averne un sacro rispetto.
(articolo pubblicato sul GIORNALE DI BRESCIA il 24-01-2020)