Metafisica e ontologia

G. Pulli, “Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio” (Mimesis 2022)

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Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio. A partire dall'opera di  Emanuele Severino - Gabriele Pulli

Inconscio del pensiero, inconscio del linguaggio. A partire dall’opera di Emanuele Severino (Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 147 — da ora in poi IPL) di Gabriele Pulli intreccia filosofia e psicanalisi attorno all’opera di Emanuele Severino.

Pulli, pur ripercorrendo analiticamente la tematica severiniana dell’inconscio per metterne in risalto le peculiarità, non si limita a un’esposizione acritica della filosofia di Severino; gli obbiettivi di IPL, esplicitati sin dall’Introduzione (pp. 17-8), sono infatti: (1) l’individuazione del presupposto che rimane implicito, inconscio, nella medesima tematizzazione severiniana della negazione dell’inconscio; (2) l’individuazione del dispositivo linguistico in grado di esprimere tale implicito.

Gli obbiettivi di IPL scandiscono altresì la struttura dell’opera, che si articola in due sezioni, (I) L’inconscio del pensiero e (II) L’inconscio del linguaggio.

(I) Pulli esordisce ripercorrendo le tesi avanzate da Severino sull’inconscio, soffermandosi sulle posizioni di Essenza del nichilismo e di Destino della necessità.

Severinianamente, si definisce ‘inconscio’ anzitutto il presupposto implicito nella “logica” (contraddittoria) del nichilismo, secondo cui essere e non essere, positivo e negativo, ammettono un rapporto identitario: il nichilismo, infatti, non esclude che le cose che sono possano non essere, prima e dopo di essere, intendendo il loro divenire come passaggio, oscillazione tra essere e non essere. Eppure, la palese contraddizione implicata dall’identità degli opposti, veicolata dal nichilismo, renderebbe implausibile, se espressa, la stessa posizione nichilistica, che si auto-toglierebbe rivelandosi insostenibile logicamente; dunque, tale contraddizione è destinata a restare severinianamente implicita, inconscia.

Nondimeno, l’inconscio e contraddittorio fondamento del nichilismo, rimanda a un orizzonte ulteriore, anch’esso definito da Severino inconscio, o più precisamente l’inconscio dell’inconscio del nichilismo. Tale inconscio fondamentale corrisponde all’identità incontrovertibile dell’essere con se medesimo, la quale dice e ratifica l’impossibilità della propria negazione: quest’ultima è logicamente inconsistente, e quindi non può descrivere il divenire delle cose che sono. Gli enti, divenendo, non si fanno altro da ciò che sono, anni-entandosi; piuttosto, appaiono e scompaiono, sopraggiungendo o tramontando rispetto ad altri enti, a cui sono relati. Pertanto gli enti, divenendo, attestano l’immutabilità dell’essere come totalità relazionale, composita, la quale si manifesta progressivamente nelle sue parti, ossia secondo il medesimo apparire e scomparire degli enti.

Da questo punto di vista, l’analisi severiniana esplicita l’auto-toglimento elenctico dell’inconscio del nichilismo: l’identità degli opposti, la quale non può essere affermata senza contraddizione, viene presupposta implicitamente; ma tale presupposizione, conservando la forma di una contraddizione, viene rilevata in quanto tale da un presupposto implicito a tale stessa presupposizione, l’inconscio dell’inconscio, l’identità con sé dell’essere; questa, non ammettendo identificazioni con il proprio altro, ne riconosce, appunto elencticamente, l’impossibilità.

Ora, il primo obbiettivo di IPL, relativo all’“Ur-inconscio” presupposto dalla negazione dell’inconscio del nichilismo operata da Severino, è guadagnato da Pulli esattamente a partire dall’analisi dell’esposizione severiniana dell’èlenchos.

Pulli identifica un inconscio operativo implicitamente nella medesima argomentazione elenctica proposta da Severino, l’inconscio dell’èlenchos: «benché nell’opera di Severino non compaia mai l’espressione “inconscio dell’èlenchos” è tuttavia evidente come tale opera racchiuda implicitamente tale concetto» (p. 35). L’èlenchos severiniano mette in luce la contraddizione derivante dalla negazione dell’identità, che costringe inevitabilmente a presupporre l’identità stessa quale emerge dal fallimento di ogni tentativo di negarla. Nondimeno, rileva Pulli, «affinché il tentativo di negare l’esser sé degli essenti possa fallire, esso deve innanzitutto esserci» (Ibid.), ché soltanto qualcosa che c’è e sussiste può esibire la propria fallibilità; ma tale tentativo c’è e sussiste solo inconsciamente, e cioè nell’ignoranza assoluta della propria contraddizione costitutiva.

La negazione dell’identità ignorante la propria contraddizione dischiude per ciò stesso una conseguenza paradossale: «se la negazione dell’esser sé degli essenti fosse consapevole di risolversi in un’affermazione, non soltanto non riuscirebbe a vivere come negazione — come Severino rileva — ma neanche tenterebbe di farlo» (p. 36). In questo caso, infatti, non soltanto la negazione non risulterebbe tale, non soltanto non fallirebbe: essa non arriverebbe a costituirsi. Ma l’assenza del fallimento della negazione dell’identità implicherebbe altresì l’impossibilità della sua ratifica, e dunque dell’accertamento del suo toglimento, implicato e richiesto elencticamente dalla struttura

stessa dell’identità. Di conseguenza, l’inconscio dell’èlenchos, il quale rileva l’impossibilità della negazione dell’identità, consiste nella presupposizione di una negazione dell’identità che rimane implicita, non detta, e che per ciò stesso non si costituisce; non costituendosi, essa rileva l’impossibilità che l’èlenchos ne indichi l’impossibilità. In questo senso, l’inconscio dell’èlenchos dischiude un risultato definitivamente aporetico.

Pulli specifica tale risultato rispetto a due conclusioni. Da un lato, l’aporia indica la negazione dell’incontrovertibilità dell’identità dell’essere, non più in grado di escludere l’identificazione con il proprio altro, che non si auto-toglie; dall’altro, questa stessa impossibilità viene interpretata quale attestazione, «con più forza» (p. 40) dell’incontrovertibilità stessa di tale identità. In altri termini, nella misura in cui la negazione dell’identità non si costituisce, è l’identità stessa a non costituirsi, ma a definirsi eo ipso all’insegna della più radicale intrascendibilità. Secondo Pulli, difatti, l’èlenchos severiniano, volendo escludere la coerenza della proposizione “il nulla è”, della negazione dell’identità del positivo, si trova costretto a legittimarla; eppure, tale legittimazione, ratifica la pervasività dell’identità: se la negazione dell’essere non è, essa dice un positivo, ossia che il nulla è; ma «se anche il nulla, se persino il nulla è qualcosa, allora non c’è proprio nulla che non sia qualcosa, nulla che sia nulla» (p. 44). Così, la (apparente) opposizione al presupposto costitutivo la filosofia severiniana si converte nella più risoluta affermazione delle sue istanze fondamentali.

La prima sezione di IPL prosegue esaminando gli stati emotivi del desiderio e del dolore (pp. 47-68), al fine di mostrare come l’aporia cui conduce l’analisi dell’èlenchos di Severino, ovvero l’identificazione tra essere e non essere, sia testimoniata altresì dalle esperienze volitive e dolorose, laddove sussiste la tendenza a far essere ciò che è assente o che in generale non è, rendendo il niente (il desiderato, come non posseduto, o l’assente) oggetto presente delle nostre emozioni, e replicando così la tensione originaria tra positivo e negativo.

(II) Lo studio (quasi) fenomenologico condotto da Pulli sugli stati emotivi del desiderio e del dolore conduce IPL alla necessità di individuare un orizzonte di senso in grado di esprimere l’aporia fondamentale cui è giunto, logicamente, il pensiero dell’inconscio.

La seconda sezione di IPL analizza dunque l’inconscio quale problema linguistico, perseguendo il secondo scopo dell’opera.

Pulli ripercorre le analisi severiniane sul linguaggio, ritenuto incapace di testimoniare l’incontrovertibilità dell’identità dell’essere: le parole, severinianamente, tendono infatti a frammentare l’essere, inteso quale totalità la cui identità si articola di parti, isolandone le determinazioni; il linguaggio, dunque, occultando la connessione che identifica gli enti come parti di un essere identico a se stesso, suggerisce la possibilità che gli enti, le determinazioni dell’essere, non siano (appunto in quanto isolate dall’essere).

In tal senso, Severino definisce il linguaggio «la negazione di ogni verità»: esso consta di significanti (le parole) che nascondo i significati puri (le cose). Eppure, la negazione della verità severinianamente veicolata dal linguaggio non consiste, di fatto, in una negazione assoluta. Severino dimostra elencticamente l’impossibilità che la parola neghi radicalmente l’identità della cosa significata: la significazione linguistica accenna a qualcosa oltre se stessa, altrimenti non si definirebbe linguisticamente alcun significante; la negazione veicolata dalla parola in quanto segno, dunque, ratifica altresì l’identità del significato della cosa, e dunque fallisce nel proprio intento confutatorio radicale, e non si costituisce quale negazione assoluta.

Ma a questo punto, Pulli si richiama ai risultati ottenuti nel capitolo primo, rilevando i paradossi cui conduce l’argomentazione elenctica severiniana rispetto al linguaggio (pp. 102 e sgg.): la parola, in quanto significante, veicola una negatività che resta radicalmente inconscia; essa, dunque, esprime una negazione dell’identità della cosa, del suo significato, che non si esplicita nel tentativo confutatorio, e quindi non dà luogo ad alcun fallimento; tuttavia, come si è detto, l’assenza del fallimento della negazione delinea l’aporia cui va incontro l’èlenchos severiniano: l’impossibilità di ratificare l’auto-toglimento della negazione dell’identità suggerisce la possibilità della controvertibilità dell’identità stessa, la quale non può escludere l’identità con il proprio altro, ché non ne attesta l’insussistenza. L’aporia dischiusa dall’inconscio dell’èlenchos si ripresenta allora sul piano linguistico: l’identità con sé degli enti, il significato delle cose, non può escludere che la negazione operata linguisticamente non sia radicale, ché l’assolutezza di tale negazione implica il suo non costituirsi, e dunque il suo non-fallimento: «anche in questo caso consegue il non esserci di tale

tentativo» (p. 104); così, l’identità delle cose non può escludere l’identità con il proprio altro, del significato col significante.

Nondimeno, secondo Pulli, quest’aporia ratifica ulteriormente la pervasività della nozione di identità, ché se l’altro dall’identità si rivelasse identico all’identità, allora non vi sarebbe nient’altro che identità; di conseguenza, l’impossibilità che l’identità della cosa, il suo significato, escluda l’identità con la parola che la significa, implica l’intrascendibilità dell’orizzonte della cosa nella sua definizione linguistica: «il sottrarsi delle cose all’instabilità delle parole viene a trovarsi privo di ciò che lo rende una verità innegabile, e al tempo stesso a essere affermato con più forza, data l’assenza del tentativo di negarlo» (p. 104)

IPL si conclude col tentativo di individuare il senso secondo cui la parola potrebbe definire, seppur paradossalmente, l’aporia dell’identità, dicendo la pervasività dell’identità identica al negativo. Quale dizione esprime dunque l’impossibile auto-toglimento del significante nella sua opposizione al significato, ribadendo per ciò stesso la loro identità? A quale risultato conduce il secondo obbiettivo perseguito da IPL?

Secondo Pulli, il senso di tale parola è un senso eminentemente poetico: la poesia è una forma di dizione tale da rendere essere il non essere, e dunque a stabilire l’incontrovertibilità dell’essere mediante la sua negazione. D’altronde, nell’immaginario poetico, la parola non mira ad altro che al ritmo, ovvero a puri significanti, sterili di significato, essendo parola in cui l’impossibilità del costituirsi del riferimento al significato è esplicitamente rivendicata. Il linguaggio poetico, quale espressione di significanti puri, attesta altresì, di conseguenza, la purezza del significato, della cosa, dell’identità: non dicendo alcun riferimento all’oggetto, esprime l’impossibile tentativo del significante di accennare al significato, costringendolo a sostare in sé stesso. Ma è così che il significato, nella sua indipendenza da un significante, nella sua irriducibilità ad un significante che pretendesse di significarlo, si dà nella parola poetica, che riesce a «sospingere il linguaggio al di là di se stesso» (p. 18), rivelando che «c’è una segreta, sotterranea corrispondenza tra il significato puro e il significante puro», ossia che «è la parola come puro suono», come significante puro, «che può rimandare davvero alla cosa» (p. 134). In definitiva, non significando la cosa, la parola poetica significa la cosa che non può essere significata, ché esprime l’impossibile significazione della cosa, indicata dall’èlenchos: essa esprime l’inconscio dell’èlenchos, l’aporia dell’identità che dice la propria irriducibilità a significato.

Sul valore dell’immaginario poetico termina IPL, indicando conclusivamente la possibilità di inserire a pieno titolo le riflessioni di Severino nel dibattito sull’inconscio tra filosofia e psicanalisi.

L’opera di Pulli, attraverso un’analisi filosofica del concetto di inconscio, mira allora a innestare nell’ambito delle teorie psicanalitiche considerazioni di tipo filosofico, individuando il paradossale fondamento condiviso da entrambe le discipline. L’originalità dello sforzo di Pulli consiste dunque nella volontà di giustificare l’intreccio di psicanalisi e filosofia, portandole a dialogare, anche attraverso la voce, inaudita nel dibattito psicanalitico odierno, di Severino, che giunge veramente «a pensare qualcosa che sino ad ora era rimasto impensabile» (p. 13).